COMUNITA' SORELLE
Origini familiari
Don Íñigo López, questo il suo nome di battesimo, nacque a Loyola intorno al 1491, membro della numerosa famiglia (ben tredici figli) di don Yanez e donna Marina Sáenz. Il padre era stato soldato al servizio di Enrico IV, dei Re cattolicie di Giovanni II; al fianco di Fernando il Cattolico guidò l’assedio contro la città di Toro, Burgos, Loja (conquistata il 29 maggio 1486) e Vélez-Málaga. Per la sua fedeltà alla corona ricevette la conferma dal re, che lo definì proprio vassallo, degli antichi privilegi concessi alla sua famiglia: la rendita annuale di duemila maravedís dalle ferriere di Barrenola e Aranaz e il diritto di patronato sulla parrocchia di Azpeitia.
La madre era figlia del dottor Don Martín García de Licona, figura di alto lignaggio, cortigiano dei re di Castiglia e consigliere dei Re cattolici, possedeva il dominio e il maggiorascato della casa di Balda. In quanto agli altri figli sappiamo fossero otto maschi e cinque femmine, di cui Íñigo fu il minore.
Il primogenito Juan Pérez, cadde in battaglia, a Napoli, contro le truppe di Carlo VIII di Francia; Martín García de Onaz, cresciuto alla corte di Castiglia, ebbe un ruolo fondamentale, con la moglie Magdalena Araoz, nella crescita del futuro fondatore della Compagnia di Gesù, rimasto ben presto orfano di madre. Degli altri non possediamo che spurie notizie, la maggior parte di essi sembra essere caduta in battaglia come Beltran, morto durante la guerra di Napoli o Juan Beltrán, imbarcatosi per le Americhe e morto nell’odierna Panama. Uno degli otto maschi, Pero López, nato poco prima di Inigo, era stato l’unico a intraprendere la carriera ecclesiastica, nella parrocchia di Azpeitia, patrocinata dalla sua stessa famiglia. Delle sorelle non conosciamo che i nomi (desunti perlopiù dai testamenti dei fratelli): Juaniza, Magdalena, Sancha, Petronila, Maria Beltrán.
In quanto a Inigo non conosciamo il giorno preciso della nascita, secondo una tradizione di dubbia storicità il 1º giugno, del 1491, battezzato nella chiesa parrocchiale di Azpeitia ricevette al fonte battesimale il nome di Inigo e il patronimico López prima del cognome paterno, secondo l’usanza tradizionale. Sarà durante gli studi a Parigi che egli mutò il suo nome in Ignatius, probabilmente per la sua speciale devozione verso sant’Ignazio di Antiochia. Svezzato da una nutrice nel casolare di Eguibar, vicino Loyola, crebbe sotto le attenzioni del fratello Don Martín e della cognata Donna Magdalena, nonostante l’educazione non si applicò mai troppo agli studi preferendo divertimenti quali il ballo, amava molto partecipare alle danze popolari, e il canto. Intorno al 1506, perché avesse una formazione cortigiana, venne inviato dal fratello ad Arévalo, presso il ministro delle finanze del regno, il potente Juan Velázquez, la cui sposa donna María de Velasco era parente della defunta madre.
Sotto due diversi patronati
Vicino del protettore Inigo conobbe la corte reale e i grandi del regno, presso la regina Germana de Foix, nipote di Luigi XII di Francia, e seconda moglie di Fernando il Cattolico, partecipò ai banchetti organizzati in suo onore dall’amica María de Velasco ai quali senz’altro partecipò anche il giovane paggio de Loyola. Egli rimase in casa del Velázquez per undici anni, fino al 1517 trascorrendo una vita agiata, dedita ai banchetti, alla musica, alla lettura di romanzi cavallereschi e alla composizione poetica. Il focoso giovane venne perfino processato insieme al fratello Pero López per un fatto a noi oggi sconosciuto. Con la morte del re Fernando la situazione della famiglia Velazquez precipitò in breve tempo. La regina Germana sollecitò il nuovo re, Carlo I, a concedergli le cittadine di Arévalo eOlmedo, proprietà del ministro delle finanze.
Il giovane Ignazio in abiti militari
Quest’ultimo, ritenendo tale decisione un sopruso e una violazione dei suoi diritti, si ribellò al re difendendo la sua città, una ribellione che durò parecchi mesi. Ma risultò vana. Juan Velázquez perse tutto, caduto in sfavore e rattristato per la morte del primogenito Gutierre si ritirò a Madrid dove morì qualche mese dopo, il 12 agosto 1517, mentre la moglie Maria passò al servizio dell’ormai reclusa Giovanna la Pazza, madre di Carlo, e della figlia di questa Caterina. Aveva ventisei anni Inigo quando, abbandonata la famiglia Velazquez caduta in disgrazia, fatto che peraltro lo turbò notevolmente dato l’affetto che lo legava al suo patrono, raggiunse il palazzo di don Antonio Manrique de Lara, duca di Najera e viceré di Navarra, per passare al suo servizio.
Questi aveva la sua residenza ordinaria a Pamplona, è lì che Inigo si diresse per trascorrervi non meno di tre anni durante i quali, nella cerchia dei gentiluomini al servizio di don Manrique, ebbe l’onore di assistere allo sbarco della nave che conduceva in Spagna il nuovo re Carlo I, il futuro Carlo V allora appena diciassettenne. Alla partenza di questi per laGermania, dove lo attendeva la corona dell’impero, si diffusero moti di ribellione per le città ispaniche, irritate dalla precedenza che il re aveva dato al trono germanico a scapito di quello spagnolo, lasciandovi come suoi rappresentati alti funzionari fiamminghi, invisi al popolo e alla nobiltà. Antonio Manrique, fedele al re, fu uno dei condottieri che diedero battaglia ai rivoltosi a fianco dei propri figli e dello stesso Inigio, che aveva prestato la sua spada al patrono. È certo che con questi egli sostenne e vinse l’assedio alla città ribelle di Najera. Don Manrique ebbe anche una missione speciale per il fedele Inigo: pacificare la provincia di Guipúzcoa. Missione che egli risolse nel migliore dei modi.
Ma un incarico ben più arduo attendeva Inigo: la fortezza di Pamplona era in pericolo e presto sarebbe crollata. Non solo i nemici di don Manrique minacciavano la cittadina ma lo stesso re francese Francesco I, il quale, approfittando della situazione, progettò il suo attacco contro la Navarra. La fortezza era priva di forze militari perché il duca se n’era privato per soccorrere il suo sovrano. Enrico d’Albret, pretendente al trono di Navarra, appoggiato da Francesco I, piombava sulla fortezza sotto il comando di Andres de Foix con ben dodicimila soldati di fanteria, ottocento lancieri e ventinove pezzi di artiglieria. A Pamplona non era rimasto che un piccolo esercito di un migliaio di soldati, sotto gli ordini di don Pedro de Beamonte, celermente sostenuto dall’arrivo inaspettato delle milizie comandate da Inigo e suo fratello Martin.
La situazione si aggravò per conflitto degli stessi condottieri: Martin, che voleva il comando delle truppe, di fronte al rifiuto del Beamonte, decise di ritirarsi col grosso delle sue truppe, lasciando in tal modo il fratello con pochi soldati. Il 19 maggio la città cadde in mano al nemico, Inigo e i suoi rimasero a difendere l’ultimo baluardo di Pamplona, rifiutando le condizioni poste da Andres de Foix per la loro resa. Il giorno dopo fu adoperata l’artiglieria pesante e durante i bombardamenti un tiro colpì in pieno la gamba destra di Inigo rompendogliela in più parti[8]. Il comandante e i suoi soldati si arresero dopo sei ore di assedio. I francesi, e particolarmente il generale nemico, che aveva già precedentemente manifestato stima nei confronti dell’avversario gli risparmiò la vita e ordinò che se ne prendessero cura, come Ignazio stesso raccontò in seguito nella sua autobiografia.
Dopo quindici giorni di degenza a Pamplona venne trasportato in barella alla casa paterna. Il suo stato era grave e più volte si temette per la sua vita. Solo dopo dolorosissime operazioni e atroci sofferenze egli poté ristabilirsi pur non potendosi reggere bene sulla gamba, a causa della quale dovette zoppicare per il resto della vita. In quei giorni fu costretto a un’esasperante immobilità, rimase a letto leggendo. Gli vennero dati la Vita Christi, del certosino Landolfo di Sassonia e il Flos sanctourm, le celebri vite dei santi composte dal domenicano Jacopo da Varazze. “Quando pensava alle cose del mondo, provava molto piacere, ma quando stanco le lasciava si trovava vuoto e scontento. Quando pensava di andare a Gerusalemme scalzo, di mangiare solo erbe e di fare tutte le altre cose dure che vedeva che avevano fatto i santi, non solo si consolava quando vi stava pensando ma anche dopo aver lasciato questi pensieri restava contento e allegro”. In lui qualcosa andava mutando, cominciava il suo processo di conversione religiosa. Cominciava pian piano a spendere il tempo nella preghiera, nella lettura di testi sacri, nella meditazione durante il suo periodo di degenza, cominciando a trascrivere alcuni appunti che in seguito avrebbero dato vita ai suoi esercizi. Sognava di partire pellegrino per Gerusalemme e per realizzare tale desiderio, una volta ristabilito, si decise di partire pellegrino per i santuari mariani della Spagna, con una particolare sosta presso il celebre santuario di Montserrat.
La fondazione della Compagnia di Gesù
Il 15 agosto del 1534, Ignazio e gli altri sei studenti si incontrarono a Montmartre, vicino Parigi, legandosi reciprocamente con un voto di povertà e castità e fondando la Compagnia di Gesù, allo scopo di eseguire lavoro missionario e di ospitalità a Gerusalemme o andare incondizionatamente in qualsiasi luogo il Papa avesse ordinato loro.
Nel 1537 essi si recarono in Italia in cerca dell'approvazione papale per il loro ordine religioso. Papa Paolo III li lodò e consentì loro di essere ordinati sacerdoti. Essi vennero ordinati a Venezia dal vescovo di Arbe (ora Rab, in Croazia) il 24 giugno. Si dedicarono alla preghiera e ai lavori di carità in Italia, anche perché il nuovo conflitto tra l'imperatore, Venezia, il Papa e l'Impero Ottomano rendeva impossibile qualsiasi viaggio a Gerusalemme.
Con Faber e Lainez, Ignazio si diresse a Roma nell'ottobre del 1538, per far approvare dal Papa la costituzione del nuovo ordine. Una congregazione di cardinali si dimostrò favorevole al testo preparato da Ignazio e papa Paolo III confermò l'ordine con la bolla papale Regimini militantis ecclesiae (27 settembre 1540), ma limitò il numero dei suoi membri a sessanta. Questa limitazione venne rimossa con una successiva bolla, la Iniunctum nobis, del 14 marzo 1543. L'ultima e definitiva approvazione della Compagnia di Gesù è stata data nel 1550 con la bolla Exposcit debitum di Giulio III.
Superiore Generale dei Gesuiti